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Settore agroalimentare e settore creditizio: due mondi a confronto verso la sfida del Green Deal

Secondo accreditati sondaggi (dati forniti dall’Istituto Ixè), gli italiani ritengono che il cibo sia la cosa che rappresenta di più l’Italia nel mondo e che i prodotti di origine italiana e specie quelli acquistati direttamente dai produttori agricoli (Km 0), costituiscano la migliore garanzia per la sicurezza alimentare e in generale per il benessere della persona. Nonostante la costante riduzione nell'utilizzo di fitofarmaci e concimi chimici, la produzione alimentare è cresciuta costantemente sia in termini di export (in cui il made in Italy, da tempo, rappresenta indice di sicurezza e di competitività dei prodotti su scala internazionale), ma anche in termini di numero di occupati nella filiera agroalimentare e, tra questi, in particolare giovani e donne. Ancora, l’Italia è in cima alla classifica europea per i prezzi all’export di formaggi, olio d’oliva e salumi, che costituiscono buona parte del paniere che riguarda l’offerta di qualità del settore alimentare; a ciò si aggiunge che il Bel Paese è il primo esportatore mondiale di conserve di pomodoro, pasta e salumi.

L’incremento di produttività per ettaro dell'agricoltura consente all’Italia di rimanere al vertice in Europa e ciò in pieno Green Deal, volto a realizzare un’economia pulita e circolare, fondata sulla centralità della persona in termini di benessere e prosperità e sulla innovazione tecnologica, utilizzata per coniugare l’obiettivo della produttività con la sostenibilità dell’ecosistema.

Secondo le conclusioni del rapporto 2020 per le aziende agricole della Banca europea degli investimenti, lo scenario produttivo sopra illustrato si scontra, tuttavia, con un notevole fabbisogno finanziario nel settore, che è stato stimato per le imprese agroalimentari fino a 1,5 miliardi di euro. Tra le cause, la mancanza di competenze finanziarie e di sistemi contabili adeguati nelle aziende agricole italiane, un ricambio generazionale troppo lento e un insufficiente livello di specializzazione delle banche in agricoltura, in particolare per prestiti a lungo termine per le Pmi.

Tra le raccomandazioni del rapporto per le aziende agricole, dunque, la possibilità di combinare un accesso facilitato agli strumenti finanziari con assistenza tecnica agli agricoltori. Per le Pmi agroalimentari si vede la possibilità di creare fondi azionari centralizzati in modo da consentire economie di scala anche alle imprese più piccole.

Alla luce di quanto sopra appare dunque fondamentale la realizzazione di una strategia complessiva che, anche con l’intervento della politica, accompagni aziende agricole e banche a superare la crisi di liquidità delle prime, verso la realizzazione di investimenti a medio e lungo termine, capaci di traghettare l’economia del settore verso modelli di produzione sempre più efficienti ed ecosostenibili.

Antonio Pivetti



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